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Troy - Recensione

31/01/2013 | Recensioni |
Troy - Recensione

Nel 2004 il regista Wolfgang Petersen ha tratto ispirazione dal poema omerico “Iliade” per riportare sul grande schermo la famosa guerra di Troia. La diffusa conoscenza dell’argomento, studiato tra i banchi di scuola, e l’importanza delle pagine di un’ opera, che fa parte della cultura mondiale, hanno caricato il pubblico di grandi aspettative. 

Il film ripercorre lo scoppio delle ostilità tra i Troiani e i Greci, dovuto, secondo il mito, alla forte passione tra Elena, moglie del re acheo, Menelao, e il giovane principe troiano, Paride, fuggiti insieme a Troia. Menelao, offeso nell’onore, chiede vendetta al fratello Agamennone, re di Micene, che chiama a raccolta tutti gli eserciti greci, insieme alle truppe di Ulisse, Aiace e Nestore. A difendere Troia, possenti mura, il solenne re Priamo e il figlio Ettore, che combatte coraggiosamente, lasciando moglie e figlio, per andare incontro al suo destino di morte.

Mentre la narrazione dell’ “Iliade” inizia dal nono anno di guerra e ricopre un arco temporale di cinquanta giorni, concludendosi con i funerali di Ettore, Petersen si distacca dall’opera omerica, inserendo fatti antecedenti e posteriori. Si assiste così alla preparazione delle truppe da parte di Agamennone e all’incontro tra Paride ed Elena, fino all’introduzione del cavallo di legno a Troia e la presa della città (eventi, questi ultimi, narrati in un altro celebre poema epico appartenente alla letteratura latina: l “Eneide” di Virgilio). Ciò che stona non è tanto l’allontanamento della pellicola dall’opera letteraria di riferimento, quanto le scelte discutibili con cui tale distacco viene messo in atto. Tra gli esempi più evidenti, in cui il film scade nell’assurdità: mentre nell’ “Iliade” le divinità hanno un ruolo predominante e determinano le sorti della battaglia, schierandosi con l’uno o l’altro esercito, in “Troy” sono quasi assenti; a differenza di quanto viene mostrato nel film, nei versi omerici Menelao non muore ucciso da Ettore, dal quale viene solo ferito con una freccia, così come Agamennone non muore per mano di Briseide (altrimenti l’omonima tragedia, “Agamennone”, del greco Eschilo, sul ritorno in patria del re di Micene e sulla morte inflittagli dalla moglie Clitennestra, non avrebbe senso). Inoltre, a differenza dell’ “Iliade”, il film ci presenta Patroclo come cugino di Achille e non come suo amante; Briseide è addirittura trasformata in una nobile troiana, piuttosto che semplice schiava (per non parlare della sua storia d’amore con Achille, eccessivamente romanzata). E ancora, ridicolo che Ulisse tragga spunto dell’idea del cavallo guardando un soldato che scolpisce un piccolo cavallo di legno per il figlio; privo di solennità il momento in cui Paride consegna ad Enea la spada con l’auspicio di fondare una città lontana (sembra strano che Paride non conosca Enea – figlio di Anchise, cugino del re Priamo, padre di Paride - e che Enea non appaia prima sulla scena nel ruolo di valoroso guerriero in difesa della sua città in fiamme, come è descritto nell’ “Eneide”). 

La pellicola segue la scia dell’epicità de “Il Gladiatore” (2000) e la spettacolarità de “Il Signore degli Anelli” (2003), con il quale ha in comune anche l’attore Orlando Bloom. Se ci si sofferma sugli effetti speciali, si può rimanere piacevolmente colpiti dalla ricostruzione di Troia e delle sue maestose mura, dai campi lunghi sulle scene di battaglia e dalla flotta greca nascosta al largo della costa. Per questi motivi, da un punto di vista prettamente cinematografico, il film funziona e sembra avere il giusto impatto sull’attenzione del pubblico. Tuttavia, se si volge uno sguardo più approfondito (al di là di ogni considerazione troppo intellettualistica), non si può fare a meno di notare che i personaggi risultano privi di quell’ epicità ed eroicità che traspare dalle pagine letterarie, messi in risalto più nella bellezza degli attori scelti per il cast, che nella profondità dei loro caratteri. Nei panni di Achille, Brad Pitt si mostra in tutto il suo “scolpito” splendore; nel ruolo del codardo Paride (certamente diverso da quello del prode elfo Legolas), Orlando Bloom mostra sempre il suo bel viso da bravo ragazzo. Ad alzare il livello, i personaggi di Ettore, interpretato da Eric Bana (“Hulk”), e di Priamo, con il volto di Peter O’ Toole, che sembrano avere maggiore spessore emotivo.
 
Il giudizio complessivo del film, palesemente commercializzato nella sceneggiatura, resta sufficientemente positivo (voto 6) solo per la bellezza del cast e la resa fotografica e scenografica di grande effetto. Sarebbe stato indubbiamente meglio se tanta apparenza fosse stata accompagnata dal altrettanta sostanza.

Elisa Cuozzo

 


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